Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - Capitolo XII - Il Superiore modello.

CAPITOLO XII.

Il Superiore modello.

SOMMARIO. — Rettore in Tropea dopo un decennio di Missioni — Scelta indovinata in cima a tutto — Fortiter et suaviter — Imparziale ed esemplare — Tutti contenti — Lettere in conferma -- La popolazione ama e rispetta la Comunità — Elogi dei Visitatori — Altre lettere — Con Superiore perfetto , Comunità perfetta — Due virtù in particolare: Ubbidienza, povertà— Sue massime, sua condotta in fatto di ubbidienza — Ubbidiente pure agli inferiori — In che conto avesse le Regole — Eroico nella povertà— Nel vestito — Nella stanza —Nel vitto — Nelle Missioni — Contenti nelle privazioni.


    Fu detto che il Ven. Servo di Dio fin dal 1811, appena ordinato Sacerdote, passò di residenza nelle Calabrie, prima per pochi mesi nella Casa di Catanzaro, e poi definitivamente in quella di Tropea. Tropea fu la sua dimora fino alla morte, meno quel po' che si trattenne in Ciorani. in qualità di Maestro dei Novizi.
    Il Io gennaio 1822 fu creato per la prima volta Superiore di quella Casa. Per tutto un decennio egli era stato impiegato nelle Missioni, e questo fu un tempo più che bastevole per valutare la di lui capacità in rapporto alla nuova carica, e imporre un tal peso sopra i di lui omeri, relativamente ancor giovanili.
    La Casa di Tropea aveva la sua importanza. Una città di. ottomila anime , che conta famiglie parecchie illustri per nobiltà di casato e per tradizioni scientifiche : una città con popolazione assai svegliata, patria al celebre filosofo Galluppi, richiamava certamente l'attenzione dei Superiori, sia a spedir colà soggetti di un valore non comune, sia a preporre alla Comunità Rettore, atto a governarla degnamente. La scelta del Servo di Dio non poteva essere meglio indovinata.
    L'osservanza regolare fu in cima dei suoi pensieri, e fu come la meta cui aspirava. Ad ottenerla con maggior facilità ebbe a mira di guidare con l'esempio: quindi sempre il primo nelle mortificazioni e nelle fatiche — sempre innanzi a tutti per umiltà, per spirito religioso, per regolarità di osservanza. Fu sua caratteristica il fortiter et suaviter, raccomandato tanto dai maestri di spirito, e come egli era il primo in tutto, così con la dovuta carità e prudenza il medesimo esigeva dagli altri.
    Dal suo canto era sempre puntuale nel fare alla Comunità il capitolo del sabato, puntuale nel fare il giorno di ritiro mensile e i dieci giorni di ritiro annuale , puntuale anche ai minimi atti di Comunità. E questo stesso voleva dai Confratelli suoi sudditi, nè si lasciava mai trarre dal rispetto umano o da altro motivo, a far passare inosservata qualche irregolarità , bensì in ossequio alle regole era sempre pronto a correggere, e a riparare.
    Uno dei Padri in Tropea veniva spesso visitato fin nella propria stanza da un giovane suo cugino, e amico della Comunità. Il Servo di Dio tosto che se ne avvide, sebbene con modi urbani caritativi, lo avvertì a non farlo più. E più non si fece.
    Del suo governo perciò sempre imparziale e sempre ugualmente esemplare eran contenti tutti, con lui Superiore la pace, l'osservanza, l'armonia regnò sempre nella Comunità.
    In varie occasioni dandone egli contezza al Rev.mo Rettore Maggiore ecco come si esprimeva: «... In quanto all'interno della Casa ci regna l'osservanza; e non si manca negli atti comuni, particolarmente della mattina. Seguita il concorso nella Chiesa , ed il rispetto nel popolo , ecc. ».
    In altra del 25 ottobre 1823, scriveva: « ... Per i Padri non ho di che lagnarmi, come anche dei Fratelli. Ci regna l' osservanza , e non si manca agli atti comuni ».
    Ai 3 di ottobre poi del 1824, cioè in sul finire del suo primo triennio, aveva la consolazione di ragguagliare il R.mo P. Celestino Cocle in questi termini: « Ora per grazia di Gesù Cristo e della Madonna SS. questa Comunità gode perfetta armonia ; ci regna la regolarità e più di tutto la pronta sommissione ai Superiori, ed a qualunque disposizione che è per fare Vostra Paternità... ».
    La sua prudenza intanto, come la sua diligenza ed edificazione , non eran cosa che potean rimanere celate nell'interno della Comunità, e si rivelarono tostamente fuori. Quindi egli non soltanto acquistossi l'amore e la docilità dei sudditi, ma altresì l'affetto e la stima di tutta la città di Tropea, che per lui venerava del pari tutta la Comunità. Cosicchè nella medesima lettera al P. Rettore Maggiore, potè soggiungere: « La città costantemente ci ama , ci venera , ed è sommamente edificata della nostra assistenza. Tutto ad maiorem Dei gloriam. Solamente bisogna la vostra paterna benedizione, che con tutti della Comunità imploro, dopo d'avervi baciate le sacre mani ».
    Il Io novembre del 1824 cessò di essere Rettore nella Casa di Tropea , e gli fu sostituito il P. Vincenzo Fusco. Si temeva così che venisse mandato in altro Collegio, e tutti ne palpitavano, non solo quelli della famiglia Religiosa, ma anche della buona città Tropeana. Ala non ne fu niente. Era assai noto l'immenso bene del Di Netta per Tropea e Diocesi, urgeva inoltre la sua presenza per la edificazione dei Padri giovani, assegnati in quella Casa , perciò lo stesso Rettore Maggiore Cocle, ivi capitato in S. Visita, ve lo lasciava, affidando a lui la formazione di quei giovani soggetti, specialmente per quello che riguardava la predicazione e il ministero delle Missioni.
    Ciò fino al novembre del 1827, epoca in cui venne costituito di nuovo Rettore dello stesso Collegio di Tropea , carica in che fu poi riconfermato successivamente fino al 1836.
    In questo nuovo periodo non può dirsi quanto rifiorisse da un lato la carità e l' osservanza in Collegio, e dall' altro quale maggior profitto si raccogliesse dai lavori apostolici.
    Mi piace confermarlo con parole stesse del. nostro Ven. Servo di Dio, che raccolgo da sue lettere.
    Per riguardo al Collegio, egli nel di 8 ottobre 1828 scriveva al Rettore Maggiore : « Aspetto il Visitatore : ora più che mai si gode tranquillità in questa Comunità: tutto a gloria di Gesù Cristo e di Maria Santissima ».
    Il Visitatore poi nella relazione che dà al Rev.mo P. Generale della S. Visita compiuta, fa l'elogio del Servo di. Dio con queste parole: Il P. Rettore Di Netta, ottimo in tutta la sua estensione..... E ancora: Egli è vero uomo di Dio.
    Per riguardo ai lavori apostolici, il 13 aprile 1829, avvicinandosi le feste di Pasqua, così scrive al Rev.mo P. Cocle da Polistena, ove era in Missione: « Cento e mille benedizioni auguro a Vostra Paternità nelle imminenti feste Pasquali , e il Signor Risorto, trionfatore della morte e suoi nemici, vi dia lunga vita con coraggio bastante per superare le avversità di questo mondo...
    « In questo anno la disparità dei luoghi, mi ha obbligato a dividere la compagnia, anche per fatiche dopo Pasqua , per cui come meglio si può, i Soggetti non hanno quel riposo che a sufficienza si presero prima di Natale. Intanto sono contenti, uniformati ai voleri del Superiore, e con armonia tutti tiriamo innanzi il soave giogo del Signore! »
    Queste ultime parole quanto sono eloquenti! e quale panegirico contengono del Superiore e dei sudditi insieme!
    Ala è ancora più bella la lettera del 5 giugno 1830. « L'ultimo di Maggio ci ritirammo dalle Missioni dell' Archidiocesi di Reggio, ove con la benedizione di Dio si è tratto un grande profitto per la salute delle anime; ed un grande desiderio d'averci nuovamente. L' Arcivescovo Giamba vi supplicherà per le Missioni della vegnente campagna, come pure unitamente ad altri zelanti Canonici, per avere una nostra Casa in quel capoluogo. Tutto a gloria di Gesù Cristo e della Madre Santissima. Le fatiche di questi tre mesi le rileverete dallo statino , che vi accludo. Da per tutto si è andato con decoro, zelo e moderazione. Tutti son restati edificati delle virtù dei miei compagni, nè ho che notare sulla loro condotta , mentre non mai si è veduta tanta armonia , carità ed osservanza. L' umilio a V. P. Rev.ma, per consolazione e per benedirne il Signore ».
    Senonchè il Superiore che veramente vuol portare la Comunità a quello stato di perfezione cui deve giungere, occorre che per il primo egli sia perfetto. Però fra le altre virtù più proprie di. un Superiore religioso, due vanno innanzi a tutte le altre, e queste sono l' ubbidienza e la povertà. L'ubbidienza, perchè al dire di S. Tommaso, consiste in essa l'essenza della vita religiosa: la povertà, perchè questa toglie ogni mezzo onde appagare tutte quelle voglie e desideri, che, soddisfatti, uccidono l'uomo spirituale. Oh! quando il Superiore, con tutto che sia tale , si mostra egli pel primo modello di ubbidienza, e rigido osservatore di povertà, fa uopo appellarlo santo, e la Comunità sotto di un tal capo non può non brillare per virtù, armonia, carità, pace.
    Il Ven. P. Di Netta si distinse nell'una e nell'altra virtù.
    Era solito ripetere in fatto di ubbidienza: Ciò che non si fa aver ubbidieza non riesce mai, perché non viene benedetto da Dio; ma laddove si agisca con ubbidienza si fa certo guadagno. La voce dell'ubbidienza per lui era la voce di Dio.
    Lo abbiamo veduto come fin da fanciullo dipendeva in tutto prima dai cenni della madre, e poi dello zio Arciprete. Entrato in Congregazione, non vi fu alcuno dei suoi compagni, o dei suoi contemporanei, che avesse potuto notare in lui un benchè minimo atto di disobbedienza.
    Dei Superiori adorava i cenni: ne parlava con rispetto ed a capo scoverto, nè tollerava in sua presenza se ne criticassero le azioni e gli ordini. Scrivendo ad essi usava i modi e le parole della più grande venerazione e sottomissione, e quando ne riceveva delle lettere, nc baciava la firma, e non rispondeva se non in ginocchio.
    Ogni cenno dei Superiori, ogni parola per lui era l'espressione della Volontà di Dio, e checchè gli costasse, piegava sempre il capo con amore e gioia interiore. Ne abbiamo degli esempi.
    Assegnato di residenza in Calabria, e dandone relazione allo zio, si esprime: « Domani partiremo per le Calabrie, piacendo al Signore. Io ne vado contento perchè ci scopro in questo la volontà di Dio ». — Mentre era in Tropea da più anni, tenuto da tutti, come si è veduto, in gran concetto e venerazione, venne creato Maestro dei Novizi. Egli senza curare le rimostranze ed i clamori di quel popolo, lascia tutto, e vola tosto in Ciorani. — In data 2 febbraio 1831 rispondendo al Rev.mo Rettore .Maggiore, P. Cocle, il quale aveva dato alcuni ordini, ecco quali espressioni usa: « Nel leggere e rileggere la vostra, anziché affliggermi, mi ho intesa un'interna allegrezza... La vostra lettera mi sarà legge indispensabile ».
    Come si e accennato altrove, rivelò egli il suo attacco a questa virtù, mostrandosi inchinato ad obbedire pure agli inferiori, e talvolta volle dipendere da essi come a suoi superiori.
    Così nell'uscire a passeggio e nel tornarne, chiedeva al Fratello portinaio il benedicite. Nell'andarsi a pigliare il caffè, nell'usare della biancheria, di che abbisognava, e simili... la medesima benedizione chiedeva al Fratello a ciò destinato, e da questo voleva dipendere. Di preferenza sottomise spesso la sua volontà al Fratello Pasquale Avallone, che conduceva seco come unico compagno nelle Missioni dei piccoli villaggi.
    Che dire poi della sua obbedienza alle Regole? Se la voce dei Superiori era per lui come l'espressione vivente della Volontà di Dio, la Regola n'era l'espressione scritta, e sanzionata dal suo Vicario in terra, il Papa, per cui gli stava in cima dei suoi pensieri , e gli costituiva la via sicura del cammino. I propositi, le risoluzioni, gli esami, le massime, i rimproveri, di cui spesso abbiamo parlato e che si trovano registrati nel suo giornale, non tendevano che a rendergli più spianato il cammino nell' ubbidienza. Perciò tanto da suddito quanto da Superiore , apparse in ciò delicato come un novizio.
    Una delle volte giunse in Tropea il P. Pavone, affranto e sciupato per forte tempesta di mare, in che s'imbattè durante il viaggio. Si pose a letto perciò, ma tosto si vide accanto il Servo di Dio, da cui fu compatito e sollevato. Sonato però il silenzio, questi non profferisce più parola, e richiesto delle forbici, le presta, ma senza parlare.
    I Visitatori quindi non potevano non far di lui sempre i più grandi elogi per riguardo all' osservanza regolare , elogi che gli furono confermati con frase enfatica dal R.mo Mons. Cocle, non più Rettore Maggiore , ma Arcivescovo di Patrasso. Passava questi per Tropea, diretto a Messina nel 1842 ove si celebrava il centenario della Madonna della Lettera. Fu ricevuto da tutta la Comunità a piedi della scala maggiore con a capo il P. Di Netta, il quale se gl'inginocchia avanti a chiedere la benedizione; ma Monsignore: Alzati, santone, gli disse tostamente, alzati, e se l'abbracciò con grande effusione.
    Niuno meglio di Mons. Cocle , poteva dargli questo pubblico attestato.
    Ma e in fatto di povertà come si condusse il caro nostro Venerabile? Bisognerebbe aver sentito chi lo conobbe e chi visse con lui, aver parlato con i suoi novizi, con i suoi compagni e sudditi, per conoscere fin dove giunse il suo distacco, la sua semplicità, il suo spogliamento di tutto.
    Lo riferisco soltanto quanto mi è riuscito raccogliere. Fu povero, eroicamente povero in tutto:
    Nel vestito. — Non usò mai sottana nuova, ne calze nuove, ma si servì sempre di robe lasciate dai compagni. Ebbe fatto una volta un cappotto nuovo, ed egli se lo mutò con quello vecchio di un Fratello laico, il Fratello Pasquale Avallone; lo stesso fece un'altra volta con una sottana, dicendo lepidamente: Queste fanno per me. Il suo vestito però sebbene rattoppato e vecchio, pure era sempre pulito, seguendo in ciò il consiglio del Padre S. Alfonso: poveri, ma puliti.
    Aborrì sempre il superfluo, nè mostrossi mai attaccato a cosa alcuna di quaggiù. Non volle aver mai presso di sè provvista di cosa alcuna che gli bisognasse; la biancheria quindi, od altro, gliela portava settimana per settimana il Fratello laico in camera, nè egli la chiedeva mai. Avvenne perciò che in una invernata per dimenticanza del Fratello, rimanesse con le robe d'estate, ed egli non ne fece dimanda, finchè, scoverto non ne fu provvisto. Le quattro camicie di suo uso erano poi così lacere e rattoppate , che il P. Ansalone, capitato a Tropea per la S. Visita, noli potè tenersi di fargliene dolce rimprovero. E trovo nel Sommario di suo Processo, che la rappezzatrice della Comunità , talvolta mostrava alle compagne con grande ammirazione tali camicie dicendo: Volete vedere quali sono la camicie del P. Di Netta? E mostrava le più logore e le più rozze.
    Nella stanza. — Tutto era povertà. Per lui era delitto possedere qualche cosa non consentita dalla Regola. Quindi tre sedie semplici, un letticciuolo con solo pagliericcio , le lenzuola di rozza tela, quattro figure di carta semplice senza cornice per quadri, un tavolino con sopra un teschio di morto che portava scritto : Memento mori, e due immaginette della Madonna e di S. Luigi Gonzaga, di cui era al sommo devoto. Poi pochi libri, senza voler mai uno scaffaletto per riporveli, un Crocifisso e nulla più.
    Non volle usare mai candeliere di ottone, come non usò mai di portare addosso orologio, ne danaro , anche essendo Rettore. Per bastone servi-vasi di una rozza cruccia, a capo della quale aveva incisa un'immagine del Crocifisso; per bere usava un rozzo vaso di creta ; per calamaio una chicchera da caffè rotta.
    Nel vitto. — Non prendeva che cibi i più dozzinali, anche nelle malattie, nelle quali, il più delle volte, si curava sorbendo un po' d'acqua calda in cui era stata cotta la pasta. Questo il farmaco prediletto per lui, ed il farmaco « panacea » con cui curava i suoi malanni... Quando andava fuori in predicazione si protestava di non voler essere trattato in quanto al cibo se non da povero. Ed abbiamo visto in altro luogo come si comportò nella casa dei Signori. Satriano e Petracca, e nella sua propria famiglia. Non usò mai forchetta o cucchiaio di argento, neppure stando fuori; come per amore alla povertà, non volle prendere mai tabacco, e tanto meno volle mai fumare.
    Era zelantissimo del pari che la povertà si praticasse dai sudditi, e perciò ne inculcava a tutti l'osservanza, e nei Capitoli di regola ne teneva spesso parola.
    Nelle Missioni non sempre si può avere un'abitazione comoda, e talvolta neppure decente. Il Servo di Dio n'era sempre contento, ed incoraggiava i compagni a fare lo stesso. In S. Cono capitato col P. De Blasio per Missione, gli venne offerta casa a pian terreno e senza lastrico. Il De Blasio se ne lagnava fortemente. Non così il Di Netta, il quale: Ringraziamo, diceva , la Provvidenza: tanta povera gente dorme in mezzo la via, e noi invece abbiamo questo buon ricovero.
    Non tollerava i difetti contro di questa virtù, e voleva che da tutti si fosse più contenti della mancanza che dell' abbondanza delle cose. E ci riuscì. Laonde sebbene la casa di Tropea fosse la più povera delle Calabrie, pure, sotto del suo governo, non vi fu chi se ne lagnasse. Al Rettore Maggiore in data 13 aprile 1829, potè scrivere: « Spero a Gesù Cristo e alla Madonna SS, che staremo meglio con la povertà, che finora non ci ha fatto mancare nulla ».
    E chiudiamo il Capitolo, affermando che in tal maniera il Di Netta , si poteva benissimo acquistare la fiducia dei Superiori , ed essere confermato in carica le tante volte fino alla morte.
    Avremo luogo in prosieguo di aggiungere dell'altro, ma il fin qui detto basta per applicare al nostro Venerabile la qualità di Superiore modello.

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