Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - Capitolo II - Studi - Ordinazione Sacerdotale.

CAPITOLO IV.

Studi - Ordinazione Sacerdotale.

SOMMARIO. - Missione per ciascun uomo - La missione del P. Di Netta fu l'Apostolato- I due requisiti: santità e dottrina - Ebbe l'una e l'altra - Indole mite - Forte ingegno, volontà tenace - Apparecchio prossimo al Sacerdozio - Risoluzioni e propositi - Il 30 Marzo 1811 - Fervore sacerdotale che aumenta sempre - Premura di celebrare ogni mattina - La Messa e il divin Sacramento centro di sua vita sacerdotale -Tipo di perfezione ecclesiastica.


    Ogni uomo sulla terra ha una missione da compiere, che gli viene da Dio assegnata fin dal suo primo apparire all'esistenza della vita. Una tale missione potrà essere più o meno considerevole, più o meno appariscente, talfiata interamente nascosta tra i silenzi di un chiostro o la solitudine di un deserto, e tale altra circondata dai chiarori, dalle grida, dalle feste... ma tutti l'hanno, e devono ad essa corrispondere, e farsi idonei, per non contravvenire ai segreti misteriosi della Provvidenza, e incorrerne le minacce.
    La missione del nostro Venerabile fu l'Apostolato: una missione tutta conforme al fine dell'Istituto da lui abbracciato, e che richiede nell'Apostolo santità e dottrina.
    Il divin Redentore chiamò gli Apostoli suoi "sale della terra, e luce del mondo". Su tali parole poggiato l'Angelico disse che all'Apostolo non basta la sola santità della vita, adombrata nel sole ma si richiede altresì la competente dottrina adombrata nella luce. La santità e la dottrina sono le due gemme, che devono fregiare l'Apostolo. Sono esse come le due olive di cui parla Zaccaria, e le due colonne di Salomone, oppure come i due Cherubini dell'Arca del Tempio. Al nostro Vito Michele non mancò nè l'una nè l'altra. Accanto all'amore per virtù, noi vediamo in lui crescere l'amore alla scienza. Per l'acquisto e dell'una e dell'altra egli fu indefesso e premuroso oltre ogni dire.
    Già lo vedemmo nel capitolo innanzi il suo fervore per la vita virtuosa, ma lo stesso può ammirarsi per la scienza. Le facoltà necessarie non gli mancarono, che anzi affermano i suoi contemporanei, avere egli posseduto ingegno pronto e facile, e quel che è più, una mente, un criterio sennato e rettissimo. Doti necessarie per l'acquisto delle scienze filosofiche e teologiche: e senza di esse oh! quanto facilmente può esorbitarsi, e andarsi inconsultamente a dritta o a sinistra, e incontrarsi con l'errore!
Il P. Fimmanò ci fece il ritratto delle qualità intellettuali del Venerabile colle seguenti parole che io riporto per intiero:
"Il P. Di Netta, che ad occhi meno avveduti, sembrava uomo mezzanamente istruito, aveva vece ricevuta dalla prodiga natura uno spirito pronto, esteso, attivissimo, un ingegno perspicace e penetrante, un' ammirabile facilità di apprendere le cose, le forme, le relazioni di ogni maniera, un' avidità incredibile di sapere, ed una memoria assai docile, vigorosa e tenace... Perciò appena bilustre, era abbastanza inoltrato nello studio della Umanità, e dopo il Noviziato fece rapidissimi progressi nel corso intero dell'amena letteratura".
    Rientrato in Congregazione nell'Aprile del 1808, dopo l'esilio forzato in patria, come di sopra si accennò, di circa un anno e mezzo, ebbe a Lettore il dotto Calabrese P. Migliaccio. Sotto di lui egli compì gli studi sacri, che dovevano disporlo all'ordinazione sacerdotale, ed avendo espletato in patria sotto la direzione dello zio Arciprete tutto il corso filosofico, con le altre discipline proprie della cosiddetta Alta Umanità, si applicò con amore indicibile allo studio della Teologia dogmatica e morale, nonchè del Diritto canonico e degli elementi di Diritto civile.
    Diventò il primo della classe, e perchè gli occhi dei superiori erano su di lui per le qualità eccezionali che mostrava, questi non dubitarono punto di iniziarlo tostamente agli Ordini Minori, che ricevè dal Vescovo di Lacedonia il giorno 11 Giugno 1808. Gli fecero nel tempo stesso comprendere che si apparecchiasse per gli Ordini Sacri, e il Suddiaconato lo ricevette ai 17 Dicembre dello stesso anno, come il Diaconato ai 23 Settembre 1809.
    Si avvicinava conseguentemente l'ordinazione al Sacerdozio, la meta sospirata da lui fin dagli anni più piccoli di sua infanzia, ed a questa egli volle disporsi non pur in un modo non comune, sibbene con fervore di Serafino. Era troppo grande l'idea che si aveva di Ministro dell'Altissimo, e se da un lato desiderava divenir tale per la brama passionata di congiungersi sempre meglio col suo Dio, dall'altra, comprendendo tutta la sua insufficienza, vedeva quale bisogno ci fosse di apparecchiarsi convenientemente alla dignità altissima.
    Non faceva egli uso di molti libri. Come più tardi da Superiore e da Missionario, in propria camera non aveva che la sola Sacra Scrittura e qualche altro volume necessario col libro dell'Imitazione di Cristo, così da studente. La Scrittura e l'Imitazione di Cristo erano i suoi libri prediletti, questi aveva sempre fra le mani, e da essi attingeva lume, forza, e gli altri carismi di cui era desideroso. Tutto il tempo che gli rimaneva libero dagli studi, lo impiegava o davanti al Crocifisso in camera, o davanti al Sacramento in Cappella: e man mano che si avvicinava la data stabilita e sospirata, lo si vedeva più assiduo, più raccolto, più silenzioso, più raggiante altresì e più assorto.
    Ed in questi lunghi suoi rapimenti e unioni con Dio trovava forza di proporre quanto qui trascriviamo:
" Risoluzioni e propositi:
    I. Altra strada non vi è di giungere alla perfezione che di eseguire perfettamente le disposizioni divine. Sii dunque disposto ad abbracciare tutto ciò che Dio vuole.
    II. La tua orazione sarà di piangere i tuoi passati peccati, e di estirpare dal tuo cuore le passioni, e di evitare quanto più puoi i difetti.
    III. Devi sperare la vita eterna per i meriti di Gesù Cristo, e non diffidarti della misericordia del tuo Dio.
    IV. Quanto farai di bene dalla mattina alla sera, tutto devi offrirlo al tuo Dio in isconto dei tuoi peccati; e nel principio, metà e fine di ciascheduna opera dirai: Ad maiorem Dei g1oriam et Beatae Mariae Virginis honorem.
    V. Il tuo prossimo devi stimano della stessa maniera che la tua persona, e perciò, nè col pensiero, nè con le azioni, devi punto disgustarlo, rimirando in esso la stessa persona di Gesù Cristo.
    VI. Il tuo nemico capitale dev'essere il tuo medesimo corpo, e mai devi concedergli tregua.
    VII. Devi nell'orazione assodarti nella verità, toccarla a fondo a mezzo di una viva fede, per averne profitto da essa; devi masticar le pillole per trarne salute, e non inghiottirle a cagione dell'amareggiamento, e quindi fuggire le dolcezze, e mettere in pratica i desideri santi, dovendoti essere ciò di grande importanza... "
    Da queste risoluzioni si vede che egli mirava al sodo, senza punto fermarsi alla cornice del quadro, o alle parvenze e accidentalità della virtù.
    Il Sacerdote dev'essere l'uomo di Dio tutto di un pezzo, ed a questo non si perviene che col liberarsi del tutto dalla colpa, coll'abituarsi al sacrificio, e col non darne mai una alla passione.
    Ecco quello cui mirava il carissimo nostro Vito Michele, e avventurosarnente lo raggiunse. Ce ne confermeremo sempre meglio quando nel capitolo successivo vedremo i propositi che seguirono all'ordinazione sacerdotale.
    Frattanto così ben disposto, e reso grandemente accettevole innanzi a Dio e agli uomini, giunse al giorno 30 di marzo 1811, data stabilita per la Ordinazione Sacerdotale. Si recò in Lacedonia con dimissoria del Rev.mo P. Rettore Maggiore, Don Pietro Paolo Blasucci, e da quel Vescovo fu rivestito del carattere sacerdotale.
    Dire quali fossero i sentimenti del suo cuore in simile circostanza, quali i moti del suo spirito, non è possibile. Sono momenti noti solo a Dio ed all'anima che li assapora, e l'anima è assai guardinga di comunicarli ad altri.
    Tuttavia sono pure cosa che non passa mai, e non può passare, inosservata del tutto, e qualche po' ne viene a ogni modo fuori. Sappiamo quindi che egli ne rimase trasformato del tutto, come si esprimono i testimoni che deposero nel Processo suo informativo, e bastava osservare il Di Netta all'altare per avere tutta l'idea di sua eminente santità. "Il modo di celebrare la Santa Messa, afferma uno di essi, era come di estatico, era da serafino, ed il suo volto spirava santità... Nell'apparecchio che premetteva e nel lungo e fervoroso ringraziamento che seguiva, genuflesso avanti a1 Sacro Ciborio, con le mani giunte al petto, ti commoveva l'animo, appariva fuor di sè, come fosse rapito... ti sembrava ravvisare un Santo".
    E questo fervore di serafino se lo portò per tutta la vita, accompagnato da una premura somma per celebrare ogni mattina.
    Anche in prosieguo, attraverso le molteplici e rilevanti occupazioni del Ministero, od aggravato da infermità, non ci fu verso che egli avesse lasciato mai di celebrare la Messa. Accadeva talvolta partire di prestissima ora, terminata una Missione, e non si aveva l'opportunità di celebrare. Per la lunghezza del viaggio, gli altri Padri, che gli eran compagni, non fidandosi di tirarla digiuni, lasciavano la Messa quel giorno: il Servo di Dio no, la tirava tranquillo fino all'una, e l'una e mezza pomeridiana, pur di poter celebrare la S. Messa.
    In tal maniera la Messa e il divin Sacramento formarono il centro di sua vita Sacerdotale.
    Lo si udiva nel giorno, spesso esclamare: Gesù mio, vi credo a me presente, e vi adoro profondamente. Oppure: Gesù mio, vi credo mio Dio, mio Redentore, mia vita, e cibo dell'anima mia: vi adoro profondamente. Gesù mio, fatemi tutto vostro e datemi la vostra virtù. Ripeteva pure spesso la Comunione spirituale con le seguenti parole: Gesù mio, vi credo nel SS. Sacramento, vi amo con tutto il cuore, e vi desidero nell'anima mia. Giacchè non posso ricevervi sacramentalmente, venite spiritualmente; come già venuto , vi abbraccio, e vi stringo tutto nel mio cuore.
    E come la farfalla intorno al fiore, così il nostro Vito era sempre intorno al suo centro.
Sentiamolo dai suoi conporanei i quali affermano: " Era sempre in orazione, sia in coro, sia nella sua cella... La notte più che dormire, pregava assiduamente... In tutte le ore libere se la passava innanzi a Gesù Sacramentato ".
    Si poteva dire in tal modo che la sua orazione innanzi al SS. Sacramento durasse giornate intere, e quando gli altri Padri, per un po' di sollievo, si recavano in giardino, il Servo di Dio correva difilato in Chiesa a pregare, e si elevava così con la sua mente in Dio da sembrare sensibilmente come staccato dalla terra, e nella persona, nel volto, nell'atteggiamento tutto, era un Serafino davvero.
    Fu chiamato il Venerabile Di Netta: " un tipo di perfezione ecclesiastica ". Tale realmente apparve dal primo momento di sua ordinazione Sacerdotale fino all' ultimo dei giorni suoi, ed in questa frase si compendia l'elogio di lui più bello.

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