GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Fornace

Fornace.
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        Egli ricorda con piacere tutte le fasi di questa costruzione dalle fondamenta della fornace con la gigantesca ciminiera, ad opera di un folta schiera di muratori e manovali, sotto la guida dei «mastro Domenico»2.
        Era tutta una festa: lavorare con fervore per qualcosa di nuovo, fischiettare, cantare allegramente, fare battute scherzose, consumare appetitosamente i pasti. La colazione era a base di pane nero, frittate e insalate stagionali, peperoni e cipolle, formaggio pecorino e caciocavallo, prosciutto e salami vari, frutta secca e di stagione. Il pranzo era a base di verdure varie e minestroni con cotenna, cotechini e pezzi vari di carne essiccata di maiale; oppure di pasta a mano con legumi vari o di maccheroni al sugo di salsiccia (per lo più «tri'egh» ed a conclusione di opera «a lu cap canale: cuccitelle e gaggh'ine» = orecchiette e galline).
        Molto divertente era la consumazione in comune di varie persone dall'unica «conca di latta bianca» o da «spasetta», per cui ognuno si dava da fare dal suo angolo... di postazione, a seconda dell'appetito. In estate si consumava anche la merenda. I pasti erano innaffiati da abbondanti vini locali.
        Il ruolo del nostro Laterizio junior era di fornire a tutti l'acqua, attinta con un recipiente di terra cotta «lu cecin'o» alla fontanella «ri Peppe ri tato». dove attualmente si trova una vasca di deposito d'acqua. Ma insieme a questi lieti ricordi, egli conserva vivo nella sua memoria il drammatico crollo della fornace, alla prima esperienza di cottura, perché costruita con criteri approssimativi, non adeguati alla forte potenzialità del fuoco sprigionata in una fornace di tipo diverso da quello artigianale.
        È un momento di sbandamento e di crisi familiare, cui non cedono né il padre né i fratelli maggiori, ed è il primo colpo di piccozza, che comincia a temprare il carattere di Zino.
        L'opera di ricostruzione riprende con rinnovato fervore, sotto la direzione di un esperto ingegnere bolognese, agganciato dal fratello aviere nella città emiliana, per cui ben presto si può assaporare entusiasticamente la gioia della prima cottura di mattoni che, a differenza dei mattoni giallastri delle fornaci artigianali, si tirano fuori rosseggianti, creando entusiasmo in tutta Laterina, dove ancora nelle vecchie costruzione degli anni '30, si possono notare i vetusti esemplari, ormai collaudati dal tempo. Buona parte dei mattoni utilizzati per la costruzione della cappella di Santa Maria hanno questa provenienza.
        Si tratta di impeccabili mattoni pieni e forati, a tre, a quattro, a sei fori oppure a due grandi fori, a forma di grandi occhiali per cui erano chiamati «occhialôni », di tegole curve, a forma di tronco di cono, nonché di tavelloni, provenienti da questo grande impianto industriale.
        Il complesso era costituito da una galleria a pianta rettangolare, divisa in camere (c) mediante lesene leggermente sporgenti. La galleria (g), larga circa tre metri e alta oltre due metri, coperta da vòlta, era formata da sei camere, di cui quattro fornite di porte (p), chiuse da murature provvisorie di mattoni crudi, lasciando prese d'aria con l'esterno, da un camino centrale, che trasmetteva il calore alle camere successivamente e dal canale del fumo (f) a mezzo di condotti comunicanti con la ciminiera, e regolati, a seconda delle esigenze di cottura, da apposite valvole. La ciminiera è un camino industriale, sistemato alla fine della galleria, necessario per attivare un sufficiente tiraggio, dopo la serie delle camere di combustione. Principale coefficiente del tiraggio è la lunghezza del condotto verticale, per lo più a cono tronco. Questi alti fumaioli erano costruiti da muratori specializzati detti «caministi».
        L'accensione avveniva con fascine alla bocca (B) della fornace, un forno in comunicazione con la prima camera, dove il fuoco iniziava il suo cammino nella galleria. La successiva combustione, di camera in camera, della durata di 24 ore per ognuna, era alimentata da carbon Coke, attraverso le bocchette (b), canaletti sistemati nel cielo della volta, chiusi con coperchi di ghisa. Questi venivano manovrati con una barra metallica, piegata ad arco ad una estremità, per permettere l'aggancio del coperchio, attraverso la colombina, in modo da sollevarlo senza scottarsi, e chiusa all'altra estremità a forma di maniglia, per facilitarne l'impugnatura. Questa operazione faceva la felicità del nostro piccolo Laterizio, che, spesso, con grande soddisfazione, riusciva ad ottenere dal padre, dietro insistenza del fratello maggiore o di qualche operaio, di pernottare in campagna, per dormire al dolce tepore di caldo su un materassino sistemato in una botte di ferro, sfondata da un lato, e appoggiata longitudinalmente sulla sabbia del piano di calpestio.
        La volta della galleria era infatti coperta da uno strato di materiale refrattario e da un piano di calpestio, ricoperto di sabbia, per ridurre al minimo la dispersione di calore; tutta la fornace, logicamente, era ricoperta da una tettoia. Le bocchette di alimentazione potevano essere ottimamente utilizzate anche per preparare la cucina, per lessare pannocchie, patate, castagne, cotenne e cotechini, ossa di prosciutto o parti varie di maiale, polli o qualche malcapitata lepre...
        Zino ricorda con piacere alcuni particolari di infanzia. Ad alcuni operai, che una volta volevano fargli credere che si trattasse di un cagnolino, rispose con divertita sicurezza: «nun è lu caniegh'u, ma lu lepre ch'a sparato tata cu lu rui'e bott = non è cagnolino, ma la lepre che ha sparato tata con la doppietta». Sapeva anche prendersi spasso di loro quando, sfuggendo al controllo vigile persino del padre, si divertiva un mondo a buttare attraverso le bocchette oltre al Coke, qualche bottiglia di vetro. Sciogliendosi il vetro per l'alta caloria, alcuni mattoni al momento del raffreddamento finale, rimanevano attaccati nelle forme più varie. Logicamente questi mattoni, ... corpo del reato di precedenti marachelle, non potavano essere utilizzati, ma servivano a Zino e agli amici, come pezzi componibili per le loro fantasiose costruzioni infantili: segno emblematico di costruzioni future!
        Ma prima di addentrarci in questa avventura laterizia, avendo già parlato della cottura dei mattoni, è utile ricordare alcuni particolari delle fasi preliminari di preparazione del materiale.
        Col termine generico di laterizi (dal lat. latericium, proveniente da laser mattone) si indicano materiali artificiali da costruzione, formati da argilla. Questa, con quantità variabili di sabbia, ossido di ferro e carbonato di calcio, purgata, macerata e impastata, viene foggiata in pezzi di forme e dimensioni prestabilite, cotti, dopo asciugamento, in apposite fornaci (Fig. I).
        Data l'importanza grandissima di questi materiali da costruzione, la tecnica della preparazione e lavorazione delle argille, della formazione degli elementi, del loro essiccamento e successiva cottura, si è venuta man mano sviluppando, secondo metodi meccanici e razionali, atti a dare un prodotto resistente e idoneo ai diversi impieghi tecnici.
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       1 Questa famiglia è così soprannominata, perché un certo Domenico fornaciaio, proveniente da S. Severo (FG) aveva a Caterina una fornace artigianale in Contrada Ricupo: proprietario. gestore e costruttore della stessa. Certamente sarà stato questo «mastro Domenico» a creare in paese una tradizione di fornaci da calce (calacàre) e, sullo stesso tipo, di fornaci da mattoni, lavorati a mano.


        a) Preparazione della argilla.

        L'argilla (lat. argilla), che si scavava in un appezzamento di terreno comunale, è una roccia sedimentaria, formatasi con il consolidamento di fango alluvionale, usata, per le sue qualità plastiche, nella fabbricazione dei laterizi. Essa è molto comune in natura, in strati e banchi, che si trovano per lo più a poca profondità, sotto uno strato di terreno vegetale.
        La preparazione dell'argilla per l'utilizzo abbracciava varie fasi: dall'ibernazione allo sminuzzamento, all'affinazione e all'impasto.
        L'ibernazione consisteva nel lasciare l'argilla scavata all'aria, in cumuli di circa un metro di altezza, per tutta la stagione invernale, in modo che gli agenti atmosferici, soprattutto gelo e successivo disgelo, potessero operare il disgregamento delle zolle. L'epoca in cui aveva inizio l'ibernazione era l'autunno e, quando non si faceva in tempo a fare le provviste necessarie, si suppliva con l'estivazione, operazione analoga che traeva profitto dalle alternanze di pioggia e di sole in estate e, anche quando la pioggia si faceva attendere, bisognava supplire con aspersioni manovali di acqua.
        Oltre allo sminuzzamento manovale, per ridurre i granuli in polvere estremamente fina, era necessaria la frantumazione praticata mediante molazze, cilindri laminatoi e tagliatrici, azionati da un potente motore a scoppio, che andava a nafta, dopo l'avvio manovale e, quando la forza di nerborute braccia non bastava, si aveva l'avvio... a suon di bestemmie! Trattandosi di mattoni comuni, l'epurazione veniva eseguita, facendo passare la massa attraverso stacci: dispositivi speciali asportavano i granuli più grossi che non erano riusciti a passare attraverso i fori.
        Seguiva poi l'impasto, mediante macchine costituite da cilindri verticali od orizzontali, nel cui interno ruotava un albero centrale provvisto di lame ad elica, che avevano lo scopo di impastare la massa, spingendola contemporaneamente verso l'estremità opposta a quella di entrata.
        Alla bocca dell'uscita dell'impastatrice erano attaccate le macchine a filiera, nelle quali passava direttamente l'argilla per esservi modellata.

        b) Modellatura ed essiccamento.

        La modellatura o formatura serviva a dare alla pasta le forme e le dimensioni volute. Prima dell'impianto industriale veniva eseguita a mano, costipando fortemente il pastone entro forme senza fondo, adagiate sopra un piano cosparso di sabbia, in modo da. evitare l'adesione dell'argilla al banco e, per lo stesso scopo era necessario insabbiare la forma. Negli impianti di una certa importanza l'operazione, anche se manovalmente, veniva eseguita a macchina con pasta quasi asciutta o umida (Fig. II).
        La formazione in pasta quasi asciutta avveniva con macchine a revolver. che comprimevano fortemente il materiale entro gli stampi.
        La modellazione della pasta molle si eseguiva con macchine a filiera, in cui erano i propulsori elicoidali a spingere il pastone, obbligandolo a passare attraverso la filiera. Per i pezzi forati erano disposti entro la filiera dei nuclei (per generare i fori), sostenuti da staffe. Queste ultime tagliavano la pasta e, poiché la sezione della filiera diminuiva verso l'estremità, il taglio si rinsaldava nuovamente.

        Dalle filiere la pasta usciva in modo continuo e scorreva su piani costituiti da rulli. Fili di acciaio o asticine, opportunamente distanziati e collocati. tagliavano automaticamente il prisma indefinito di pasta uscente dalla filiera in elementi di lunghezza determinata.
        Eseguito il taglio, ciascun pezzo veniva preso opportunamente e adagiato sopra telai speciali, per evitare deformazione durante l'essiccamento.
        Le tegole ed altri pezzi speciali, che non era possibile ottenere con macchine a filiera, si ottenevano con stampi speciali, comprimendo in essi opportunamente la massa di argilla lavorata e raffinata.
        Nello stabilire le dimensioni delle forme bisognava tener conto del ritiro che avrebbero subito i pezzi sia con l'essiccazione che con la cottura.
        L'essiccazione, operazione con la quale si faceva perdere agli elementi parte dell'acqua di impasto, doveva avvenire gradualmente, prima lentamente e poi sempre più rapida.
        Anche questa operazione era molto delicata in quanto, con mezzi adeguati. bisognava proteggere i pezzi dagli agenti atmosferici come la pioggia. il vento e il sole forti, per non correre il pericolo di perdere tutto il lavoro precedente. Gli essiccatoi infatti erano forniti di tettoia, per la protezione dall'alto, e di graticci formati da vimini o canne variamente intrecciati, per la protezione da tutti i lati.
        I mattoni comuni erano essiccati su aie cosparse di sabbia e, successivamente, in muriccioli costruiti in gambetta : disposizione di pezzi a filari alterni. ad alveare, ecc. che permetteva l'aerazione, sia nell'essiccamento che nella cottura. Per l'essiccamento dei coppi si usavano speciali telai in legno, che si sovrapponevano gli uni agli altri all'interno degli essiccatoi, in modo da favorire simmetrica e graduale aerazione fra i singoli elementi.
        Nel 1930 si calcolava che esistessero in Italia meno di 4000 ditte producenti laterizi di ogni tipo, con circa 80.000 addetti, concentrate per la stragrande maggioranza in Lombardia, Emilia, Veneto. L'industria, che ha introdotto le macchine verso il 1880, produceva ogni tipo di laterizio, dai mattoni comuni ai mattoni forati, alle volterrane e marsigliesi, tegole curve e colmi, tavelloni tavelle, ecc. La nostra smistava mattoni pieni e forati, tavelle e tavelloni, coppi e colmi.
        In Italia aveva particolare importanza la produzione dei mattoni forati di cui si faceva anche esportazione per alcuni milioni di lire (una manna per quei tempi), e di tavelloni, concentrati questi ultimi in poche zone e panicolarmente nella valle del Po e nella Toscana.

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